Servitù di veduta anche qualora l’opera edile che ne consente l’esercizio non sia ultimata

La Suprema Corte di Cassazione fornisce la corretta chiave interpretativa dell’art. 1062 Cod. civ. con precipuo riguardo alla costituzione della c.d. servitù di veduta per destinazione del padre di famiglia.

Occorre ricordare, preliminarmente, come la servitù di veduta consista nel diritto spettante al proprietario del c.d. fondo dominante di osservare e affacciarsi sul fondo c.d. servente a una distanza inferiore a quella generalmente prevista dalla normativa del Codice civile. Per destinazione del padre di famiglia ex art. 1062, comma 1, Cod. civ., invece, s’intende quella particolare modalità di costituzione della servitù che opera quando due fondi, in un primo momento appartenenti a uno stesso soggetto, siano successivamente divisi e consti come su uno di essi vi siano opere idonee a rivelare l’esistenza della servitù. Si pensi, per esempio, al caso del complesso condominiale realizzato dall’impresa costruttrice – la quale, proprietaria inizialmente dell’intero immobile, decida di realizzare, solo su alcune unità abitative, opere in potenza idonee all’esercizio della veduta (es. balconi, verande etc.) – e poi proceda all’alienazione delle singole unità abitative a soggetti diversi.

La Suprema Corte, per quanto interessa in questa sede, si è soffermata sulla tesi secondo la quale affinchè la servitù di veduta per destinazione del padre di famiglia possa dirsi costituita debba pur sempre sussistere un opus (cioè, un’opera visibile) completo e idoneo, in concreto, a consentire la veduta sul fondo servente.

La Corte, tuttavia, ritiene che quest’ultima tesi interpretativa non possa essere accettata. E infatti, i Giudici hanno precisato come l’esistenza di opere di natura permanente, obiettivamente destinate all’esercizio della servitù e idonee a “rivelare”, appunto, l’esistenza di questo diritto, non possa dipendere dal completamento delle stesse. In altri termini, affinchè la servitù per destinazione del padre di famiglia possa dirsi validamente costituita, è sufficiente la mera esistenza dell’opera in potenza idonea all’esercizio del diritto, indipendentemente dal grado di completamento della medesima. Ciò, a ben vedere, ha fatto ritenere sufficienti anche semplici “aperture” sul muro dell’edificio, pure se sprovviste delle necessarie intelaiature, e sempre a condizione che esse consentano di inferire obiettivamente e univocamente la destinazione dell’opera che si realizzerà all’esercizio della servitù.

La lettura offerta dalla Suprema Corte, a ben vedere, presenta un duplice profilo pratico di interesse. Da un lato, infatti, e prendendo in considerazione colui che realizzi l’opera con le caratteristiche sopra descritte, si tratterà di adeguatamente valorizzare il plus offerto dalla possibilità di esercitare la veduta, specie in contesti di particolare pregio abitativo; dall’altro, e considerando il caso di colui che acquisti il fondo c.d. servente, cioè, come detto, quello destinato a “subire” la veduta, si raccomanda di accertare, anche a livello di regolamento negoziale, la presenza di opere in concreto idonee a fondare una futura pretesa di esercitare la servitù.

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