Revocabile l’amministratore di S.r.l. se viene meno il rapporto di fiducia con i soci

Il Tribunale di Roma – chiamato a decidere sulla domanda proposta dall’amministratore di una s.r.l., revocato dall’incarico, di accertamento dell’inesistenza di una giusta causa di revoca e di condanna della società al risarcimento del danno – effettua un ampio excursus sulla disciplina applicabile alla revoca dell’amministratore nelle società a responsabilità limitata e sulla individuazione della nozione di “giusta causa” ai fini della revoca stessa.

Occorre ricordare che, nelle società per azioni, il potere dell’assemblea dei soci di revocare gli amministratori si fonda sulla disposizione di cui all’art. 2383, comma 3, c.c., secondo cui tali organi “sono revocabili dall’assemblea in qualunque tempo, anche se nominati nell’atto costitutivo, salvo il diritto dell’amministratore al risarcimento dei danni, se la revoca avviene senza giusta causa”.

Ove quindi lo statuto non indichi la durata del mandato conferito all’organo gestorio, la società potrà recedere dal rapporto di amministrazione anche senza giustificazione e senza obbligo di risarcimento del danno, ove sia dato all’amministratore un giusto preavviso.

Ove invece sia previsto dallo statuto un termine all’incarico, la società potrebbe comunque rimuovere l’amministratore anche in assenza di giusta causa, riconoscendosi tuttavia, in tale ipotesi, al soggetto rimosso dall’incarico gestorio il diritto al risarcimento del danno: lo statuto non può escludere tale diritto in assenza di giustificazioni alla revoca, risultando una tale disposizione nulla per contrarietà alla previsione di cui all’art. 1229 c.c. Lo statuto potrebbe, per contro, subordinare l’adozione del provvedimento di revoca dell’amministratore all’esistenza di una giusta causa.

Come è stato rilevato dalla pronuncia in esame, secondo l’unanime orientamento della giurisprudenza, l’art. 2383 c. 3 c.c. – dettato in tema di s.p.a. – è applicabile in via analogica alle s.r.l.: il Tribunale di Roma osserva peraltro che la norma non sarebbe applicabile nell’ipotesi in cui l’atto costitutivo della s.r.l. contenga previsioni tali da fra ritenere la società organizzata su basi personalistiche e non secondo il modello capitalistico.

La sentenza ricorda inoltre che la revoca dell’amministratore nominato nell’atto costitutivo non richiede, ai fini della sua efficacia, né la modifica dell’atto costitutivo né la sussistenza di una giusta causa, incidendo quest’ultima soltanto sull’eventuale obbligo della società di risarcire i danni all’amministratore revocato.

Ove tuttavia la facoltà di amministrare sia oggetto di un diritto particolare attribuito ad uno o più soci ai sensi dell’art. 2368 comma 3 c.c., la revoca dovrà essere decisa con il consenso unanime di tutti i soci, ai sensi del l’art. 2368 comma 4 c.c., comportando la stessa una modifica di quel diritto: a ciò può derogarsi allorché ricorra una giusta causa, prevalendo in tal caso le esigenze di tutela della società. Qualora, invece, sia attribuito ad un socio il diritto particolare di nominare l’amministratore, al medesimo spetta anche il potere di revoca.

L’assemblea dei soci, anche di s.r.l., ha dunque la facoltà di revocare ad nutum l’amministratore: l’assenza di giusta causa non determina l’invalidità della delibera ma fa sorgere il diritto dell’amministratore revocato al risarcimento (per il caso di amministratore nominato a tempo determinato) ovvero al congruo preavviso (per il caso di amministratore nominato a tempo indeterminato).

Ciò in quanto la mancanza di una giusta causa (ovvero del congruo preavviso) non costituisce un vizio della deliberazione ma soltanto il presupposto del diritto risarcitorio, che può qualificarsi quale indennità riconosciuta normativamente come conseguenza di un atto lecito.

La giusta causa può essere soggettiva o oggettiva: è giusta causa soggettiva di revoca degli amministratori l’inadempimento doloso o colposo dei doveri loro imposti dalla legge o dall’atto costitutivo, mentre ricorre una giusta causa oggettiva di revoca in presenza di atti e/o fatti non costituenti inadempimento dell’amministratore, ma comunque idonei a minare il rapporto di fiducia tra amministratore e società, al punto da impedire la prosecuzione del rapporto.

La giurisprudenza dominante ha infatti sottolineato che la giusta causa può essere integrata sia dall’inadempimento ai doveri legali o statutari inerenti alla carica, sia da comportamenti dell’amministratore non lesivi di quei doveri o addirittura da situazioni estranee a suoi comportamenti, allorché ricorrano elementi tali da far ritenere obiettivamente che il connotato fiduciario che caratterizza il rapporto tra la società e l’amministratore sia venuto meno. Tali fatti, sopravvenuti alla costituzione del rapporto di amministrazione, operano dall’esterno sulle vicende negoziali dello stesso, incidendo sul rapporto fiduciario che deve sussistere tra le parti: occorre peraltro che gli elementi intrinseci sopravvenuti incidano sull’apporto effettivo che il socio può concretamente attendersi dall’amministratore, in modo tale da poter fondatamente ritenere che siano venuti meno in capo allo stesso i requisiti di avvedutezza, capacità e diligenza di tipo professionale che dovrebbero sempre contraddistinguere l’amministratore di una società di capitali.

Come è stato ricordato dal Tribunale di Roma, la nozione di giusta causa, deve essere distinta dalle “gravi irregolarità” di cui all’art. 2409 c.c.: essa riguarda circostanze sopravvenute, anche non integranti inadempimento, provocate o no dall’amministratore stesso, che però pregiudicano l’affidamento dei soci sulle sue attitudini e capacità. In una parola, il rapporto fiduciario tra le parti. Nel caso di specie, è stata ritenuta idonea a determinare la rottura del pactum fiduciae tra società ed amministratore e ad influire negativamente sulla prosecuzione del rapporto l’avvenuta sottoscrizione da parte dell’amministratore di s.r.l. di un accordo di particolare importanza, senza il preventivo assenso dei soci.