La Suprema Corte di Cassazione, attraverso la sentenza n. 13597/2020, ha statuito circa l’irrilevanza – affinché possa configurarsi una esimente dalla responsabilità individuabile in capo al curatore fallimentare che abbia provocato danni alla società fallita – dell’autorizzazione del giudice delegato ove quest’ultimo l’abbia data con riferimento all’operazione pregiudizievole.
Secondo la Corte, infatti, la predetta autorizzazione potrà rilevare, al più, ai fini della individuazione di una ipotesi di concorso di responsabilità.
Più in particolare, attraverso la pronuncia de qua, la Cassazione ha accolto il ricorso della curatela avverso il precedente curatore che, secondo le prospettazioni di parte ricorrente, non solo aveva illegittimamente gestito una pratica di rimborso IVA ma, pure, aveva mancato di predisporre e vidimare il libro giornale.
La sentenza della Suprema Corte giungeva, in realtà, a seguito di quella della Corte d’Appello competente che, invero, aveva riconosciuto, nell’autorizzazione del giudice delegato, un atto idoneo a interrompere il nesso di causalità tra la condotta del predetto curatore e il danno subito dalla fallita società. E infatti, secondo i giudici d’appello, il provvedimento del giudice, scaturendo per parte sua da una presunta valutazione del magistrato circa la legittimità dell’atto posto in essere dal curatore, avrebbe rescisso il nesso tra l’azione causativa del danno – vale a dire l’adozione del predetto provvedimento – e il danno stesso.
A una diversa conclusione, tuttavia, sono giunti i magistrati di Cassazione. E infatti, questi ultimi hanno valorizzato – al fine di configurare la responsabilità contrattuale in capo al curatore – il dettato dell’art. 38, comma 1, L.F., norma che così dispone: «Il curatore adempie ai doveri del proprio ufficio, imposti dalla legge o derivanti dal piano di liquidazione approvato, con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico. Egli deve tenere un registro preventivamente vidimato da almeno un componente del comitato dei creditori, e annotarvi giorno per giorno le operazioni relative alla sua amministrazione», oltre che quello dell’art. 1176, comma 2, Cod. civ., ove si trova detto: «Nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata».
Sicché, secondo la Suprema Corte, in ragione del combinato disposto dell’art. 38, comma 1, L.F. e 1176, comma 2, Cod. civ., dal curatore non si dovrà pretendere un livello medio di diligenza, giacché l’opera da egli svolta dovrà essere necessariamente parametrata all’importanza e alla difficoltà inerenti all’incarico svolto. Proprio per questa ragione, allora, sarà del tutto irrilevante l’anzidetta autorizzazione del giudice delegato che, in realtà, potrà esclusivamente contribuire alla eventuale configurabilità di un concorso di colpa.