Non c’è holding in assenza dell’eterodirezione degli organi sociali delle controllate

La pronuncia del Tribunale di Vicenza trae origine dal ricorso per la dichiarazione di fallimento di una società di fatto, promosso dal curatore del fallimento di una s.r.l., secondo il quale la eterodirezione esercitata sulla società fallita e sulle altre imprese del gruppo dalla holding – società di fatto, composta dall’amministratore di alcune delle società del gruppo e dall’advisor delle stesse, avrebbe determinato in capo alla fallita un danno patrimoniale.
Preliminarmente, è necessario precisare che per “holding” (personale o societaria), si intende l’impresa commerciale avente a oggetto l’attività di direzione e di coordinamento di un gruppo di imprese cui sia funzionalizzato l’esercizio dei poteri derivanti dal possesso di uno o più quote o pacchetti azionari (sia essa svolta da una società di capitali, da una persona fisica o da una società di fatto), richiedendo quali requisiti qualificanti detta struttura non solo quelli usualmente intesi dell’“organizzazione” e della “professionalità”, ma anche l’agire in nome dell’esercente in termini astrattamente idonei a far conseguire al gruppo vantaggi economici ulteriori rispetto a quelli acquisibili in mancanza dell’opera di coordinamento.
Una società di fatto potrebbe quindi essere riconosciuta quale holding operativa laddove più società di capitali, svolgenti la medesima attività e con la medesima organizzazione imprenditoriale, siano in vario modo partecipate dai medesimi soci, cui faccia capo l’amministrazione sociale, e le operazioni poste in essere denotino un indirizzo imprenditoriale unitario, in modo da ingenerare anche nei terzi la sicura convinzione di un vincolo sociale tra loro.
Come ricorda anche il decreto in commento, in ipotesi di holding di tipo personale, che sia a capo di più società di capitali in veste di titolare di quote o di partecipazioni azionarie e che svolga professionalmente, con stabile organizzazione, l’indirizzo, il controllo e il coordinamento delle società medesime (non limitandosi così al mero esercizio dei poteri inerenti alla qualità di socio), la configurabilità di un’autonoma impresa postula che la suddetta attività, sia essa di sola gestione del gruppo (cosiddetta holding pura) ovvero anche di natura ausiliaria o finanziaria (cosiddetta holding operativa), si esplichi in atti, anche negoziali, posti in essere in nome proprio e presenti altresì obiettiva attitudine a perseguire utili risultati economici, per il gruppo o le sue componenti, causalmente ricollegabili all’attività medesima.
La pronuncia in esame evidenzia in particolare che, per poter affermare l’esistenza di una società di fatto – holding, occorre dimostrare che le società controllate sono state sottoposte ad un’attività di eterodirezione tale da far ritenere che gli amministratori e l’assemblea dei soci delle controllate siano stati totalmente esautorati dalla gestione sociale e ridotti al ruolo di semplici “prestanome” o “figuranti”.
E infatti, il tema della configurabilità della holding si lega ineluttabilmente a quello della responsabilità derivante da abusiva attività di direzione e coordinamento.
L’attività di direzione e coordinamento è di per sé lecita e, anzi, ammessa dall’ordinamento in quanto diretta all’efficiente governo dei gruppi societari, ciò che non è ammesso è, di converso, l’esercizio patologico e abusivo di tale attività.
Chi esercita un’attività di direzione e coordinamento di altre società e agisce in violazione dei princìpi di corretta gestione assume una responsabilità risarcitoria diretta per il pregiudizio arrecato alla redditività e al valore della partecipazione sociale, nonché nei confronti dei creditori sociali per la lesione cagionata all’integrità del patrimonio della società, azione risarcitoria che in caso di fallimento della società affidata all’altrui coordinamento spetta al curatore del fallimento.
L’esercizio abusivo di attività di direzione comporta tuttavia l’assoggettabilità a dichiarazione di fallimento della holding esclusivamente qualora risulti provato che l’eterodirezione societaria si sia tradotta in esercizio di attività imprenditoriale
I creditori della società insolvente potranno, dunque, agire nei confronti dell’holder e, se lo stesso sarà a sua volta qualificabile come imprenditore, sussistendo i requisiti, chiederne l’autonomo fallimento.

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