L’evento straordinario rende i contratti rinegoziabili

La Suprema Corte di Cassazione, con una dissertazione tipicamente dottrinale (relazione n. 56/2020), si è soffermata sul tema “spinoso” dei contratti andati in default a causa del Covid-19 affermando testualmente che l’epidemia in atto spinge a intuire l’esistenza, nel nostro ordinamento, di un principio generale consistente in un “obbligo di rinegoziazione” dei contratti “ogni qualvolta una sopravvenienza rovesci il terreno fattuale e l’assetto giuridico-economico su cui è eretta la pattuizione negoziale”: la parte danneggiata “deve poter avere la possibilità di rinegoziare il contenuto delle prestazioni”.

La Cassazione, dunque, imposta il suo ragionamento sul dovere di correttezza contrattuale, che nel Codice civile è espresso negli articoli 1175 (debitore e creditore devono comportarsi con correttezza), 1337 (le trattative devono svolgersi in buona fede), 1366 e 1375 (il contratto deve interpretarsi ed eseguirsi secondo buona fede); e sul rilievo che, ogni qualvolta un dato aspetto del rapporto non sia stato oggetto di contrattazione, il giudice può integrare il contratto secondo “gli usi” e secondo “l’equità” (articolo 1374).

Da queste premesse si dovrebbe derivare la conclusione che la rinegoziazione, a fronte di sopravvenienze che alterano il rapporto di scambio concordato nel contratto, diventa un “passaggio obbligato” per conservare il piano di costi e ricavi originariamente pattuito, con la conseguenza che chi si sottrae all’obbligo di ripristinarlo commetterebbe una grave violazione del regolamento contrattuale.

È peraltro evidente – secondo la Cassazione – che l’obbligo di rinegoziare impone di intavolare nuove trattative, ma non anche di concludere un contratto alle condizioni volute dalla parte che pretende la rinegoziazione. Di conseguenza, se si è in presenza dei presupposti che legittimano la richiesta di revisione del contratto, la parte destinataria di questa richiesta è adempiente se raccoglie l’invito e propone (e accetta) soluzioni riequilibrative eque e accettabili alla luce dell’economia del contratto; è inadempiente se si oppone a nuove trattative, se si limita a intavolare trattative “di facciata” o se conduce trattative “maliziose”, senza cioè alcuna seria intenzione di addivenire alla modifica del contratto resosi squilibrato.

Quando, dunque, si verificano i presupposti che legittimano il giudice a integrare il contratto in caso di inadempimento della parte contrattuale alla quale è formulata la richiesta di rinegoziazione? Su questo essenziale punto la Cassazione afferma che non di ogni contratto può essere richiesta la rinegoziazione, ma, solo “ogni volta che dal regolamento negoziale” emergano “i termini in cui le parti hanno inteso ripartire il rischio derivante dal contratto, fornendo al giudice i criteri atti a ristabilire l’equilibrio negoziale”. Vi è, quindi, la necessità di individuare un parametro cui adeguare il contratto.

Un ultimo, ma fondamentale, punto di riflessione concerne poi il rimedio per il caso in cui il soggetto obbligato a rinegoziare si renda inadempiente all’esecuzione del contratto rinegoziato. Sotto questo profilo, nel documento della Cassazione si indica che, al rimedio del risarcimento del danno, può plausibilmente affiancarsi quello dell’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di contrarre, normato nell’articolo 2932 del Codice civile: in sostanza, al giudice potrebbe essere richiesto di esercitare il potere di sostituirsi alle parti pronunciando una sentenza che tenga luogo dell’accordo di rinegoziazione non concluso.