IL CASO
La vicenda sottoposta all’analisi della Suprema Corte trae origine dall’accoglimento da parte del Tribunale di Lamezia Terme dell’opposizione allo stato passivo del fallimento di una S.r.l. proposta con riguardo alla domanda di ammissione del credito relativo al contratto di leasing di un capannone risolto in data anteriore al fallimento e presentata congiuntamente alla domanda di restituzione dell’immobile che il Giudice delegato aveva respinto.
Il Tribunale ha ammesso l’intero credito, ritenendo applicabile, nel caso di specie, l’art. 72 quater L.F. anziché l’art. 1526 c.c. come invece sostenuto dal Giudice delegato.
Il Fallimento della S.r.l. ha pertanto proposto ricorso per cassazione, contestando in particolare la violazione e falsa applicazione dell’art. 72 quater L.F., oltre che dell’art. 1523 c.c. e dell’art. 1526 c.c.
Il ricorrente ha infatti eccepito che il Tribunale non aveva applicato in via analogica l’art. 1526 c.c. al contratto di leasing traslativo risolto prima del fallimento dell’utilizzatore.
LA DECISIONE DELLA SUPREMA CORTE
Nel caso del leasing traslativo, la Cassazione ha innanzitutto evidenziato che l’applicazione analogica dell’art. 1526 c.c. è giustificata dall’esigenza di porre un limite all’autonomia privata. L’obiettivo è infatti quello di evitare l’ingiustificato arricchimento che si verifica frequentemente nella prassi commerciale a favore del concedente, il quale sulla base di uno schema negoziale per lo più predisposto unilateralmente, ottiene sia la restituzione del bene, sia l’acquisizione delle rate riscosse, oltre all’eventuale risarcimento del danno, vale a dire più di quanto avrebbe avuto diritto di pretendere qualora fosse avvenuto il regolare adempimento del contratto da parte dell’utilizzatore.
Nel caso di leasing traslativo risolto anteriormente alla dichiarazione di fallimento dell’utilizzatore, i Giudici di legittimità hanno altresì affermato che il “patto di deduzione”- per mezzo del quale va riconosciuto al concedente l’importo complessivo dovuto dall’utilizzatore a titolo di ratei scaduti e a scadere, nonché il prezzo del riscatto del bene maggiorato degli interessi – è nullo per contrarietà all’ordine pubblico e in particolare a quanto disposto dall’art. 1526 c.c., ritenuto analogicamente applicabile a tutti i casi di risoluzione anticipata del contratto.
In particolare per quanto riguarda l’equo compenso sancito dall’art. 1526, comma 1, c.c., la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che la disposizione comprende la remunerazione del godimento del bene, il deprezzamento conseguente alla sua incommerciabilità come nuovo e il logoramento per l’uso, ma non include il risarcimento del danno spettante al concedente che deve trovare specifica considerazione nella sua interezza secondo il principio di indifferenza ai sensi di quanto disposto dall’art. 1223 c.c..
Resta inteso che rimane in ogni caso ferma la possibilità per le parti di determinare preventivamente il risarcimento del danno attraverso la previsione di una clausola penale ai sensi dell’art. 1382 c.c.
Il Giudice ha tuttavia, ai sensi dell’art. 1284 c.c., il potere di ridurre ad equità – anche d’ufficio – la penale inserita nel contratto di leasing traslativo quando risulta manifestamente eccessiva.
La Cassazione chiarisce che è la legge ad affidare al Giudice l’esercizio del potere correttivo della volontà contrattuale delle parti al fine di ristabilire in via equitativa un congruo temperamento dei loro interessi contrapposti, sempre che la penale sia stata dedotta – in via di azione o eccezione in senso stretto.
L’omesso esercizio del potere di riduzione della penale da parte del Giudice di appello – a cui spetta il potere di applicare l’art. 1384 c.c. – può dunque essere non solo dedotto dalla parte interessata, ma anche rilevato d’ufficio dal Giudice di legittimità quando sia stata proposta un’apposita eccezione purché non siano necessari accertamenti di fatto.
La Cassazione ha pertanto accolto i motivi di ricorso proposti dal fallimento.