La Suprema Corte di Cassazione si sofferma sulla natura del vincolo di destinazione ex art. 2645-ter Cod. civ. c.d. semplice

La Suprema Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 3679/2020, si sofferma sulle modalità di realizzazione del vincolo previsto dall’art. 2645-ter Cod. civ. nel caso di atto di destinazione “semplice”, precisando, però, in via preliminare e generale, come il predetto vincolo potrà pur sempre costituirsi a mezzo di atti negoziali bilaterali o plurilaterali a cui, dunque, dovrà attribuirsi natura contrattuale (come per il caso, frequente nella prassi, ove per mezzo dell’atto di destinazione si realizzi altresì il trasferimento della proprietà del bene oggetto del vincolo).

D’altra parte, la Corte ritiene che il c.d. atto di destinazione semplice – quello, cioè, che non importi in alcun caso il trasferimento di proprietà (o, ugualmente, di altri diritti reali), limitandosi il disponente a imprimere un vincolo di destinazione sul predetto bene diretto al soddisfacimento e alla realizzazione di esigenze determinate e meritevoli di tutela – non sia fonte di obbligazioni contrattuali né per tale ultimo soggetto né, vieppiù, per i beneficiari (i quali, secondo la Corte, in tale specifico caso potranno addirittura non essere individuati).

Sicché, e proprio in ragione della natura non contrattuale dell’atto di destinazione c.d. semplice, esso non comporterà il sorgere, in capo al disponente, di alcuna attribuzione provvista del carattere della corrispettività ma, chiaramente, determinerà la realizzazione di un mero sacrificio patrimoniale (sostanziantesi, a ben vedere, nella segregazione del bene appartenente al patrimonio del disponente in conseguenza dell’’impressione del vincolo di destinazione).

E allora, secondo la Suprema Corte, il predetto atto di destinazione semplice ex art. 2645-ter Cod. civ. rimarrà pur sempre un atto dal carattere unilaterale a titolo gratuito, solo, però, come si è detto, ove esso sia stato posto in essere attraverso la semplice forma dell’atto di “destinazione”, rimanendo il bene in proprietà del disponente. Tale ultima conclusione, a ben vedere, in ragione della particolare struttura dell’atto di destinazione semplice (che, come detto, non importa reciprocità nelle prestazioni), potrà dirsi valida anche nel caso in cui il negozio di destinazione venga posto in essere in coincidenza con atti analoghi scaturenti dalla volontà dei beneficiari del vincolo di destinazione.

Nell’ottica di siffatta ricostruzione, la Suprema Corte ribadisce come l’atto di destinazione c.d. semplice avrà pur sempre natura di negozio unilaterale che non si perfezionerà attraverso l’incontro di volontà di due (o più) parti, essendo sufficiente, invece, la mera dichiarazione di volontà del disponente.

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