La Suprema Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 7466/2020 qui in commento, prendendo in considerazione il credito derivante dal risarcimento del danno, ne afferma la natura di credito di valore, sottraendolo per tal via agli effetti che deriverebbero dall’applicazione del c.d. principio nominalistico e, invece, affermandone la soggezione alla rivalutazione monetaria. Si ricordi come, a mente del predetto principio nominalistico, che trova la propria collocazione sistematica all’interno del Codice civile all’art. 1277, comma 1: «I debiti pecuniari si estinguono con moneta avente corso legale nello Stato al tempo del pagamento e per il suo valore nominale».
Dunque, secondo la Suprema Corte, la rivalutazione monetaria del credito dovrà considerarsi sino alla c.d. taxatio – vale a dire alla liquidazione del predetto credito – in ragione della necessità di “aggiornarne” il quantum al momento della decisione giudiziale sulla responsabilità.
Secondo la Suprema Corte, tuttavia, alla sorte in tal modo rivalutata non potranno aggiungersi in ogni caso gli interessi legali, a meno che ciò non venga fatto al fine di compensare altresì il danno da ritardo.
Il danno da ritardo, allora, conformemente a un orientamento già più volte affermatosi nella giurisprudenza di legittimità – cfr. ex multis Cass. SS.UU. 1712/1995 e, più recentemente, Cass. 3931/2010 – potrà certamente essere liquidato impiegando la c.d. tecnica degli interessi, avuto però riguardo alla somma originariamente quantificata e rivalutata di anno in anno (o, anche, considerando la c.d. semisomma, termine che identifica la media tra il credito rivalutato alla data dell’avvenuta liquidazione e il credito stesso espresso in moneta all’epoca dell’illecito). Diversamente, il calcolo non potrà essere effettuato prendendo in considerazione la somma tout court originariamente determinata o, ugualmente, la somma che sia stata rivalutata al momento della liquidazione.