La Suprema Corte di Cassazione, Sezione Terza, con l’Ordinanza n. 11304/2020 qui in commento, si è occupata della tematica, particolarmente attuale, della responsabilità del liquidatore nei confronti dei creditori sociali rimasti insoddisfatti successivamente alla cancellazione della società dal registro delle imprese.
La normativa di riferimento per il caso di specie è contenuta nell’art. 2495, comma 2, Cod. civ. – il quale dispone: «Ferma restando l’estinzione della società, dopo la cancellazione i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi. La domanda, se proposta entro un anno dalla cancellazione, può essere notificata presso l’ultima sede della società» – e nell’art. 2741, comma 1, Cod. civ. – ove, invece, si prevede: «I creditori hanno eguale diritto di essere soddisfatti sui beni del debitore, salve le cause legittime di prelazione» – articolo, quest’ultimo, che sancisce il principio della c.d. par condicio creditorum (fatta sempre salva la presenza di cause legittime di prelazione: i privilegi, il pegno e le ipoteche).
Nel caso di specie, più in particolare, la Corte ha rilevato come ove dovesse prodursi, nel bilancio finale di liquidazione, un azzeramento della massa attiva e, per tal ragione, non vi fosse la possibilità di soddisfare un credito non apposto nel bilancio finale di liquidazione ma pur sempre provato quanto alla sussistenza già in fase di liquidazione, potrebbe configurarsi un caso di responsabilità illimitata del liquidatore nei confronti del creditore pretermesso.
Tuttavia, affinchè possa verificarsi tale ultima eventualità, sarà sempre necessario allegare e, pertanto, dimostrare che il liquidatore abbia operato contravvenendo al predetto principio della par condicio creditorum eseguendo, più in dettaglio, pagamenti in contravvenzione, appunto, a quanto stabilito ex art. 2742, comma 2, Cod. civ.
Di conseguenza, e nel caso in cui il patrimonio fosse poi risultato insufficiente al fine di soddisfare alcuni dei creditori, il liquidatore, per potersi liberare dalla responsabilità che gli deriva dal dovere di svolgere una ordinata gestione della fase di liquidazione del patrimonio sociale (destinato, naturalmente, allo solutio dei debiti sociali), dovrà dimostrare che l’azzeramento della massa attiva è sì avvenuta in conseguenza del pagamento degli anzidetti debiti ma, e questo è il punto, senza violare il principio sancito dall’art. 2741, comma 1, Cod. civ.
In altri termini, il creditore uti singulus non dovrà aver ricevuto un diverso trattamento rispetto agli altri creditori sempre, chiaramente, ove non sussistano cause legittime di prelazione.