IL CASO
Il ricorso sottoposto all’attenzione della Suprema Corte è stato instaurato da un creditore ammesso al passivo, in seguito al rigetto dell’opposizione ex art. 5-ter l. n. 89/2001 (i.e. Legge Pinto sull’equa riparazione in caso di violazione del termine di ragionevole durata del processo). La Corte d’Appello aveva, infatti, giustificato l’infondatezza della pretesa del creditore istante in ragione della particolare complessità della procedura concorsuale, nella quale erano state esperite anche azioni di responsabilità nei confronti dell’organo di controllo, oltre cento azioni revocatorie e vi era un elevato numero di creditori insinuati al passivo, che ammontava a diversi milioni di euro. Il Giudice dell’opposizione ha rigettato altresì l’istanza per difetto di allegazione dei ricorrenti in merito al pregiudizio lamentato evidenziando come la complessità della procedura (che aveva portato alla chiusura del fallimento dopo oltre 14 anni dalla relativa dichiarazione) non avrebbe potuto far sorgere alcun ragionevole affidamento circa la possibilità di un rapido soddisfacimento del loro credito.
LA SOLUZIONE DELLA SUPREMA CORTE
La Suprema Corte ha ritenuto fondata la doglianza applicando la costante elaborazione giurisprudenziale secondo la quale la durata delle procedure fallimentari particolarmente complesse non può comunque superare la durata di 7 anni, termine che per i creditori ammessi decorre dal decreto di ammissione.
Superato tale limite, il danno non patrimoniale, da intendersi come danno morale soggettivo correlato ai turbamenti di carattere psicologico, si intende come conseguenza normale, ancorché non automatica o necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo. Ciò significa che una volta accertata l’ultra-durata il giudice deve ritenere esistente suddetto danno, sempre che non risulti altresì da circostanze concrete che tale danno non sia stato effettivamente subito.
Dando seguito all’orientamento della Corte sopra riportato, la Corte d’Appello, a fronte della durata di oltre 14 anni della procedura ha, dunque, errato nel ritenere sia che il creditore fosse onerato a formulare specifiche allegazioni in ordine al pregiudizio subito sia che l’indennizzabilità fosse da escludersi per la particolare complessità della procedura.