Dipendente colto da malore: il datore di lavoro deve risarcire il danno se c’è stato ritardo nel prestare soccorso

Nel caso sottoposto all’attenzione della Suprema Corte un lavoratore veniva colpito da infarto durante un diverbio con il proprio superiore gerarchico il quale cercava di impedire la chiamata dell’ambulanza contribuendo a causare il ritardo nei soccorsi.

Il lavoratore agiva in giudizio per ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale ed in particolare del:

  1. danno biologico per le conseguenze dell’infarto dovute al ritardo nei soccorsi;

  2. danno alla dignità personale connesso al comportamento del superiore gerarchico che, opponendosi alla chiamata dell’ambulanza, aveva trattato il lavoratore, alla presenza degli altri colleghi, come un “simulatore”.

Il giudice di prime cure accoglieva la domanda di risarcimento del danno da lesione della dignità personale e rigettava la domanda di risarcimento del danno biologico. Specificava il giudice adito che il danno biologico non poteva essere risarcito poiché la consulenza tecnica d’ufficio non aveva evidenziato alcun nesso di causalità tra il ritardo nei soccorsi e le conseguenze del malore da cui il lavoratore era stato colto.

Il lavoratore impugnava, dunque, la sentenza di primo grado.

La Corte d’Appello adita in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale riconosceva e liquidava in €. 175.000,00 il danno biologico. In particolare, la Corte riteneva sussistente il nesso di causalità tra il danno subito e il ritardo nei soccorsi, in parte causato dalla condotta ostruzionistica del superiore della vittima ed in parte dalla casa di cura. Altresì, il datore di lavoro veniva ritenuto responsabile per la condotta del proprio dipendente, ai sensi dell’art. 2049 c.c. (responsabilità dei padroni e dei committenti) e veniva condannato al pagamento dell’intero danno ai sensi dell’art. 2055 c.c. (responsabilità solidale) il quale stabilisce che se il fatto dannoso è imputabile a più soggetti tutti sono obbligati in solido al risarcimento del danno, salvo il diritto di regresso rispetto agli altri corresponsabili, nella misura determinata dalla gravità della rispettiva colpa.

La società proponeva ricorso per Cassazione contro la sentenza d’appello.

La Corte di Cassazione rigettava il ricorso ritenendo corretto il ragionamento seguito dai giudici di secondo grado nella parte in cui avevano condannato la Società al risarcimento del danno biologico. Al riguardo, la Cassazione osservava come la Corte aveva correttamente rilevato che il ritardo era in parte ascrivibile ad un dipendente della società, e, pertanto, al datore di lavoro ex art. 2049 c.c. Una volta, dunque, accertato il concorso del fatto colposo del datore di lavoro nella causazione dell’evento dannoso, correttamente i giudici d’appello avevano concluso per la condanna al pagamento dell’intero danno a carico della società ex art. 2055 c.c.

Infine, la Cassazione respingeva le censure mosse dalla società in punto di riconoscimento del danno alla dignità del lavoratore richiamando i principi espressi dalla sentenza a Sezioni Unite n. 26972/08 secondo cui: il danno non patrimoniale nella sua componente di danno morale, pur non essendo mai in re ipsa, può essere provato in via presuntiva e di massime di comune esperienza, come correttamente aveva già fatto la sentenza di primo grado.

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Antonino Salsone e lo Staff di SLS – Lawyers