Azione di responsabilità: responsabile l’amministratore per la totale mancanza di contabilità sociale

Nel caso sottoposto all’attenzione della Suprema Corte il curatore del fallimento di una società a responsabilità limitata ha proposto l’azione di responsabilità nei confronti dell’amministratore unico della società fallita, in ragione dell’omessa tenuta delle scritture contabili e dell’omessa presentazione delle dichiarazioni fiscali.

Il Tribunale adito ha accolto la domanda proposta e ha condannato l’amministratore convenuto al risarcimento del danno conseguente agli inadempimenti rilevati, quantificato in via equitativa in misura pari al 30% del complessivo credito erariale ammesso al passivo.

Successivamente, l’Amministratore ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello territoriale che aveva integralmente confermato la decisione di primo grado.

Preliminarmente, si rappresenta che la responsabilità degli amministratori di società a responsabilità limitata è regolata dall’art. 2476 c.c.

Tale norma fa discendere la responsabilità dell’amministratore nei confronti della società – in termini sostanzialmente analoghi a quelli impiegati dall’art. 2392 c.c. per la responsabilità degli amministratori di società per azioni –dall’inosservanza degli obblighi ad esso imposti dalla legge o dall’atto costitutivo.

In particolare, essa contempla l’azione sociale di responsabilità, per il cui esercizio attribuisce legittimazione a ciascun socio (terzo comma); e l’azione di responsabilità spettante ai singoli soci o al terzo direttamente danneggiati da atti colposi o dannosi dell’amministratore (settimo comma). Ma, in difformità rispetto alla disciplina dettata per le società per azioni (art. 2394 c.c.), non prevede invece l’azione di responsabilità spettante ai creditori sociali.

Deve peraltro ritenersi, quanto all’azione sociale di responsabilità, che la legittimazione del singolo socio non sia affatto esclusiva, bensì concorrente con quella della società stessa; e quanto all’azione dei creditori sociali, che la mancata espressa previsione di essa da parte della norma non valga ad escludere la legittimazione di costoro, sull’assunto che debba ravvisarsi nell’art. 2394 c.c. l’espressione di una regola di portata generale applicabile alla funzione amministrativa di tutti gli enti ad autonomia patrimoniale perfetta, e dunque, nonostante il silenzio della norma al riguardo, anche alla società a responsabilità limitata.

In ogni caso, in seguito alla dichiarazione di fallimento, anche per la società a responsabilità limitata l’azione di responsabilità è esercitata dal curatore fallimentare ai sensi dell’art. 146 legge fall., il quale così cumula le due distinte azioni, rispettivamente attribuite alla società e ai creditori sociali.

Nella fattispecie, l’azione di responsabilità nei confronti dell’amministratore della società a responsabilità limitata dichiarata fallita è stata dunque esercitata dal curatore fallimentare.

Ciò premesso, i temi affrontati dalla Cassazione riguardano specificamente: (i) l’accertamento della responsabilità dell’amministratore; (ii) la determinazione della misura del danno.

Quanto al primo profilo, la Suprema Corte ha richiamato, con la sentenza in commento, le proprie precedenti pronunce con le quali è stato costantemente affermato che la totale mancanza di contabilità sociale (o la sua tenuta in modo sommario e non intellegibile) è, di per sé, giustificativa della condanna dell’amministratore al risarcimento del danno, in sede di azione di responsabilità promossa dalla società a norma dell’art. 2392 c.c., vertendosi in tema di violazione da parte dell’amministratore medesimo di specifici obblighi di legge, idonea a tradursi in un pregiudizio per il patrimonio sociale; e che, al di fuori di tale ipotesi, che giustifica l’inversione dell’onere della prova, resta a carico del curatore l’onere di provare il rapporto di causalità tra la condotta illecita degli amministratori e il pregiudizio per il patrimonio sociale.

In effetti, nell’azione di responsabilità promossa dal curatore del fallimento di una società di capitali nei confronti dell’amministratore della stessa l’individuazione e la liquidazione del danno risarcibile devono essere operate avendo riguardo agli specifici inadempimenti dell’amministratore, che l’attore ha l’onere di allegare, onde possa essere verificata l’esistenza di un rapporto di causalità tra tali inadempimenti e il danno di cui si pretende il risarcimento.

Tuttavia, con riguardo a quello specifico inadempimento consistente nell’omessa tenuta della contabilità sociale, l’onere della prova a carico del curatore fallimentare risulta alleggerito, per effetto dell’inversione dell’onere della prova quanto alla dimostrazione del requisito del nesso di causalità.

Quanto al secondo profilo, nelle predette azioni di responsabilità la mancanza delle scritture contabili della società, pur se addebitabile all’amministratore convenuto, di per sé sola non giustifica che il danno da risarcire sia individuato e liquidato in misura corrispondente alla differenza tra il passivo e l’attivo accertati in ambito fallimentare, potendo tale criterio essere utilizzato soltanto al fine della liquidazione equitativa del danno, ove ricorrano le condizioni perché si proceda ad una liquidazione siffatta, purché siano indicate le ragioni che non hanno permesso l’accertamento degli specifici effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta dell’amministratore e purché il ricorso a detto criterio si presenti logicamente plausibile in rapporto alle circostanze del caso concreto.

Il ricorso a tale criterio presuppone, innanzitutto, che, ai sensi dell’art. 1226 c.c., il danno non possa “essere provato nel suo preciso ammontare”.

Sul punto, non vi è dubbio che l’omessa tenuta delle scritture contabili, oltre a qualificare come inadempiente la condotta dell’amministratore a ciò tenuto, rende altresì estremamente difficoltoso, ove non impossibile, ricostruire le operazioni della società poi fallita e, conseguentemente, determinare la misura del danno che da esse possa essere derivato.

Sulla base di tali considerazioni, la sentenza in commento della Suprema Corte ha confermato in toto la sentenza di merito impugnata.

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