Aumento del capitale sociale con criptovalute: i criteri da rispettare

Nel caso sottoposto all’attenzione delle Sezioni Specializzate, l’amministratore di una società di capitali aveva proposto ricorso avverso il diniego opposto dal Notaio, il quale si era rifiutato di iscrivere nel Registro delle Imprese la delibera di aumento del capitale sociale, in quanto realizzato attraverso il conferimento in natura di beni costituiti da “criptovaluta” e da alcune opere d’arte. Il pubblico ufficiale ha ritenuto, infatti, che la delibera non possedesse sufficienti requisiti di legittimità necessari per l’iscrizione nel Registro delle Imprese. Le censure hanno riguardato in particolare la parte della delibera avente ad oggetto il conferimento effettuato attraverso “criptovaluta”, vale a dire mediante il ricorso a moneta virtuale. Il Notaio in particolare ha eccepito che la natura volatile della “criptovaluta” non consentiva, in specie, né di valutare concretamente il quantum destinato alla deliberazione dell’aumento di capitale sottoscritto né di determinare l’effettività del conferimento.

L’amministratore della società ha impugnato, dunque, il diniego opposto dal pubblico ufficiale, sostenendo che fosse possibile attribuire un valore economico alla “criptovaluta” visto anche quanto osservato dall’Agenzia delle Entrate la quale ha previsto l’obbligo di inserire il possesso della moneta virtuale nella dichiarazione dei redditi.

A sostegno delle proprie ragioni difensive, la società ricorrente ha dedotto, altresì, che la “criptovaluta”, a cui si era fatto ricorso, non era solo una moneta virtuale scambiata su mercati non regolamentati soggetta alla valutazione da parte di operatori specializzati, ma era altresì un mezzo di pagamento sufficientemente diffuso, riconosciuto ed accettato dagli operatori del settore e, a riprova di ciò, ha depositato la perizia prodotta in sede di conferimento che confermerebbe il valore della moneta virtuale e il trasferimento della sua disponibilità in capo alla società.

Da ultimo, la ricorrente ha eccepito che non poteva essere esclusa la legittimità del conferimento in “criptovaluta” poiché è pacificamente consentito l’aumento del capitale sociale tramite il conferimento di beni immateriali.

Ciò posto, il Tribunale, tra le altre questioni, si è interrogato in particolare circa la possibilità di utilizzare la “criptovaluta” per il conferimento nel capitale sociale.

Il Giudice adito ha innanzitutto chiarito che non era in discussione l’idoneità della “criptovaluta” a costituire elemento di attivo idoneo al conferimento nel capitale sociale. Era tuttavia necessario verificare se il bene concretamente conferito, vale a dire la moneta virtuale, soddisfacesse il requisito previsto dall’art. 2464, II comma, c.c. (ossia se fosse suscettibile di valutazione economica).

Per poter dare risposta a questo interrogativo, il tema di indagine da investigare si spostava sulla possibilità o meno di attribuire ab origine un valore economico attendibile al bene, cioè alla “criptovaluta”. In considerazione della funzione storica primaria del capitale sociale quale strumento di garanzia dei creditori, il Giudice ha ritenuto che i beni debbono possedere determinate caratteristiche per essere qualificati come conferimenti idonei. Il Tribunale adito ha, dunque, indicato tre principi fondamentali per la conferibilità dei beni nel capitale sociale consistenti nella: a) idoneità ad essere oggetto di valutazione in un dato momento storico; b) esistenza di un mercato del bene che permetta di determinare il tempo di conversione in denaro contante; c) idoneità del bene ad essere oggetto di aggressione da parte dei creditori sociali o bersaglio di procedura di esecuzione forzata. Sul punto, il Tribunale ha accertato che la perizia di stima non aveva dato risposta in merito al requisito della idoneità del bene ad essere oggetto di possibili azioni da parte dei creditori, dato che l’esperto non aveva fornito alcun riferimento circa le modalità di esecuzione di un eventuale pignoramento della “criptovaluta”.