Anche il fallito può essere amministratore di S.r.l.

Anche il fallito può fare l’amministratore di S.r.l. A differenza di quanto avviene per le S.p.A., per le quali il divieto resiste. A questa conclusione approda la Cassazione con la recentissima ordinanza n. 25050 del 16 settembre 2021.

Ai fini della suddetta decisione cruciale la ricostruzione in termini sistematici di quanto avvenuto con la riforma del diritto societario del 2003.

Sino a quella data infatti la società a responsabilità limitata era costituita come una piccola società per azioni. Con la riforma, invece, i modelli sono distinti in maniera assai significativa, facendo assumere alla S.r.l. la fisionomia di uno strumento più agile, più flessibile, largamente centrato sulle persone dei soci e sui loro rapporti.

In questa prospettiva allora è pienamente giustificata “la previsione di non coincidenza normativa in ordine alle cause di ineleggibilità e decadenza dei soggetti destinati a gestire le due diverse forme organizzative dell’attività d’impresa”.

Il divieto generale di amministrazione della S.p.A. per i falliti si colloca allora in un modello operativo che, ricorda l’ordinanza, è istituzionalmente destinato alle imprese di dimensione notevole, con una disciplina tendenzialmente rigida e senza particolari margini di adattamento alle ragioni e ai bisogni concreti dei soci.

Il modello S.r.l., invece, è più aperto, nella lettura della Corte, a una maggiore considerazione delle persone che partecipano all’attività d’impresa e quindi a consentire “il reinserimento nell’attività imprenditoriale delle persone dichiarate fallite ovvero a mantenerne la posizione pure per il caso in cui queste vengano (nel futuro) dichiarate fallite: sia come soci, sia pure, e anche indistintamente, come amministratori”.

Ciò detto, poi l’ordinanza, in ogni caso, apre alla possibilità che lo statuto della S.r.l. determini l’introduzione di clausole su particolari cause di ineleggibilità o decadenza degli amministratori, come pure di previsione di ragioni di esclusione dei soci per giusta causa e, tra queste, pure quella legata all’eventuale fallimento di uno dei componenti della compagine sociale.